Da Monti a Grillo, tra i politici è corsa al tweet. Ma l'esperta Giudiceandrea avverte: «La Rete da sola non sposta voti».
Nulla a che vedere con la campagna elettorale Usa di Barack Obama. Ma quelle del 24 e 25 febbraio sono per l'Italia le prime votazioni 2.0, quelle in cui la comunicazione che passa dal web e dai social può contribuire davvero alla costruzione del consenso.
Politici e candidati ne sono consapevoli, tanto che nelle ultime settimane sono proliferati account, richieste di amicizia e post di ogni genere.
CORSA AL TWEET. Ma attenzione: «I social media da soli non spostano voti», avverte Paola Giudiceandrea, giornalista esperta di comunicazione politica, autrice insieme ad Andrea Boscaro di Fare politica digitale. Come candidati, movimenti e partiti possono creare e mantenere consenso e vincere le elezioni (Francoangeli).
La prova arriverebbe proprio dagli Usa, dove la vittoria di Obama non è stata determinata né da Twitter né tanto meno da Facebook. Ma dall’utilizzo di un potente database in grado di raccogliere dati dalla Rete, analizzarli e incrociarli per targettizzare l’informazione diretta agli elettori.
Una delle tante frontiere ancora sconosciute in Italia dove la comunicazione politica digitale sconta un ritardo di almeno 10 anni che la fa essere poco interattiva, troppo generalista e priva di un linguaggio specifico. Ovvero, ancora troppo poco decisiva.
- Paola Giudiceandrea, giornalista esperta di comunicazione politica.
DOMANDA. Twitter ha preso il posto di volantini e manifesti in questa campagna?
RISPOSTA. Certo che no. Il web non sostituirà mai il lavoro sul territorio, senza il quale i voti non si prendono. Perché una campagna elettorale sul web funzioni davvero deve fare parte di una strategia di comunicazione più ampia. Poi, ovviamente, bisogna saper declinare il messaggio secondo le logiche e il linguaggio propri del digitale.
D. Quanto conta internet in questa campagna elettorale?
R. I social network difficilmente servono per conquistare nuovi voti e convincere un elettore di destra a votare sinistra e viceversa. Sono molto utili invece per ricompattare, e quindi riportare al voto, una parte dei delusi della politica che nelle ultime elezioni hanno scelto di non votare.
D. Chi sta mettendo in campo la strategia più efficace da questo punto di vista?
R. Sicuramente i partiti di centrosinistra e il Movimento 5 stelle hanno un approccio più corretto rispetto a quelli di centrodestra. Ma questo è dovuto anche alla natura stessa dei partiti: il centrosinistra è da sempre più “popolare”, nasce e si fonda sul coinvolgimento diretto delle persone. E il web diventa solo una nuova piazza virtuale. Il centrodestra, invece, tende a utilizzare questi mezzi come uno dei tanti strumenti per diffondere il proprio messaggio, senza interazione.
D. Perché Silvio Berlusconi ha puntato tutto sulla tivù?
R. Il suo modo di fare politica è unidirezionale. E il fatto che non abbia un account Twitter personale non stupisce: per stare sui social network bisogna essere capaci di interagire costantemente con il popolo della Rete. Per questo lui predilige la tivù.
D. Quindi lo schermo sarà ancora una volta decisivo?
R. Negli ultimi anni, la dieta mediatica degli italiani si è arricchita: oltre il 50% delle persone utilizza più mezzi per informarsi e tra questi spicca l’utilizzo della Rete come strumento di costruzione e condivisione dell’informazione. Ma i luoghi dove si fa opinione rimangono ancora i media tradizionali: ancora oggi il 90% degli italiani si informa attraverso la tivù.
D. Monti ha scelto Twitter come canale social principale. È una strategia efficace?
R. Può esserlo, se ben utilizzata. Personalmente, ritengo poco in sintonia con la personalità e la figura di Monti il modo in cui ha scelto di impiegare Twitter, che rischia talvolta di renderlo poco credibile.
D. Grillo è stato il primo in Italia a sfruttare il web. Parte avvantaggiato?
R. Ai fini del risultato elettorale, no. Conosce, forse meglio di altri, i meccanismi del web e li utilizza molto bene. E soprattutto sfrutta internet per “fare rete”. Ma gli altri partiti sono molto più radicati sul territorio di lui.
D. Ai suoi ha detto di non andare in tivù. Ma una campagna elettorale solo sul web può funzionare?
R. Assolutamente no. E poi non è vero che Grillo non è in televisione. Il divieto di non andarci è stata una notizia, ripresa da tivù e giornali. E le polemiche interne al movimento sono bene in vista sui media tradizionali. Sa bene come far parlare di sé (e ha comunque annunciato una comparsata nell'ultima settimana di campagna elettorale ndr).
D. In Sicilia, però, il suo metodo ha funzionato...
R. Il successo di Grillo in gran parte è dovuto al vento dell’antipolitica che porta avanti, non al fatto che usi meglio di altri la Rete. Se non ci fosse questa tendenza, web o meno, difficilmente sarebbe dov'è adesso in termini di consenso.
D. Pierluigi Bersani come si sta muovendo?
R. Il Partito democratico comincia a essere presente in maniera massiccia e corretta in Rete, coerente con il messaggio di non personalizzare il partito con il nome del leader e dando forza al progetto politico e alle idee che lo compongono.
D. Poi c’è Nichi Vendola, che dopo Grillo è il leader più seguito su Twitter. Questo può far acquistare potere a Sinistra ecologia e libertà?
R. Non credo che Sel incrementerà il suo numero di voti grazie alla forza sul web di Vendola. Sicuramente, è stato capace di fidelizzare gli elettori, anche grazie alla sua presenza costante in periodi non elettorali: questo serve molto a mantenere il consenso.
D. La Lega invece sembra ancora un po’ fuori da queste nuove dinamiche.
R. Il Carroccio è approdato sul web quando Roberto Maroni ha preso la guida del partito, quindi da poco tempo. Ma in campagna elettorale, è d’obbligo esserci sui social media. La vera capacità di utilizzo in termini di mantenimento del dialogo si misurerà dopo il voto.
D. In che senso?
R. La vera sfida della comunicazione politica digitale si giocherà lì, nella capacità di sviluppare l’interattività con gli utenti per mantenere il consenso fino all’appuntamento elettorale successivo. Quello che la politica italiana non ha ancora capito è che i social media non sono uno spot televisivo, ma una forma di dialogo che per funzionare deve essere alimentata costantemente.
Giovedì, 31 Gennaio 2013
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