martedì 19 febbraio 2013

Altro che web e social media È la tv la vera star elettorale - Il Tempo





Nostra signora televisione. Signora sì, ma della campagna elettorale nonostante quell'aria da elettrodomestico - seppur evoluto, nella sua funzionalità e nell'estetica ai tempi del digitale - adatto ai salotti degli italiani. Perché mai, come in questi ultimi giorni, le campagne elettorali della Seconda Repubblica sono state così tv-centriche. Mario Monti si impegna, se i voti che prenderà saranno sufficienti, a cambiare la legge Gasparri; Pier Luigi Bersani a farne una, di legge, sul conflitto di interessi e Beppe Grillo annuncia invece, nei suoi comizi, che delle tre reti attuali Rai, due andrebbero vendute ed una tenuta pubblica e senza canone. Silvio Berlusconi, lui, della tv non ha bisogno di parlarne dato che ne incarna la storia e il metamessaggio, in quanto inventore della televisione commerciale in Italia, l'ultima rivoluzione culturale (piaccia o no) che abbia avuto il nostro Paese, ed in quanto proprietario.


La cosa singolare, in fondo, di questa telemania della politica è la sua ambiguità in rapporto allo strumento mediale catodico. Nel 2013 del trionfo del web e dei social media, la tv - nonostante gli acciacchi - ha ancora una sua forza maggioritaria e nazionalpopolare. Questo è ciò che inceppa, probabilmente, la politica alternando il suo atteggiarsi verso il mezzo tra momenti di empatia e attimi di rifiuto. A pensarci bene, infatti, la politica dovrebbe legiferare per regolamentarla questa benedetta televisione e poi dovrebbe pure andarci ospite nel pieno delle campagne elettorali scontrandosi, magari, con quella legge sbagliata (voluta dalla politica, non tutta ma la maggior parte) che si chiama par condicio e che un Paese adulto dovrebbe già aver cancellato. Ed allora, oggi, ha anche il sapore delle vendetta questo essere superstar elettorale della televisione.


In fondo i politici, come la star al cinema, hanno tre doveri: quello di sedurre, quello di piacere e quello - se possibile - di fare bei film (nel caso nostro programmi nell'interesse dei cittadini). La tv, seppur nel breve giro di poche settimane, trasforma tutti i candidati nazionali in star, compresi quelli del'1 virgola qualcosa per cento. Pochi di questo dureranno. Ma la tv resterà, seppur cambiata, frammentata dalle tecnologie, resterà nella sua ontologia: tele-visione, vedere da lontano. Che al centro ci sia il voto o la ricerca del voto, poco importa. Oggi c'è Monti che chiede il duello a tre (in tv), con Bersani e Berlusconi per far passare il messaggio che il bipolarismo sta per finire e che c'è anche lui; c'è Berlusconi, che il bipolarismo lo ha di fatto creato con la sua discesa in campo, nel lontano 1994, che vuole il faccia a faccia solo con Bersani e c'è il leader del Pd che - sull'onda del successo avuto dalle primarie e dal format della sfida televisiva a cinque - vorrebbe il duello con tutti i candidati. In questa corsa a come strutturare la sfida in tv nell'ultima settimana prima del voto si sottrae soltanto Beppe Grillo che la tv la fugge per farsi inseguire, la disdice via Twitter e con un post scriptum sul proprio blog, facendo infuriare Sky Tg24 dove sarebbe dovuto andare, e diventando - nell'immaginario dei suoi - l'eroe fuggiasco dal video che ama le piazze e non i salotti. Perché leader che vai gusto e (approccio) alla tv che trovi. Il bipolarista Berlusconi, il tripolarista Monti, la lepre Grillo, il primarie Bersani e via discorrendo. Ognuno declina la propria di tv ma poi, a parte Berlusconi che l'ha messa in atto con la creazione delle tv commerciali, quale è l'idea di televisione della politica italiana? Difficile dirlo, sia rispetto alle riforme legislative necessarie a far sì che il merito torni a dominare nei criteri delle scelte televisive, sia nel modo di comunicare in campagna elettorale. Per fare un esempio: se il confronto a tre, come pare sostenere Monti, è sale per la democrazia perché anziché semplicemente chiederlo il Professore non ne ha fatto un mantra, un tormentone, una sfida sino alla sfinimento della sua battaglia elettorale? Ieri sul Corriere della Sera, Aldo Cazzullo suggeriva alla Rai «di fissare il giorno, l'ora, il luogo e invitare i sei candidati. Chi non avesse il coraggio di presentarsi sarebbe giudicato di conseguenza dagli spettatori e dagli elettori?». Alcune mancanze, questo sembra non considerare il Cazzullo, valgono più di una presenza: Grillo, e pure il Corriere lo scrive, non andrebbe. E già questo sarebbe un successo per lui, non certo per la Rai e per gli altri cinque. Perché la telemania, oggi che tutti ne parlano e che la politica l'ha messa al centro della campagna elettorale, dovrebbe saper contemplare anche questo: per vincere in televisione non basta andarci ma si deve saper contemplare tutto. A volte anche l'assenza.


Massimiliano Lenzi






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