venerdì 4 ottobre 2013

I numeri, ma soprattutto le parole, di Twitter (e 5 buone pratiche per i ...


wtf Come molti sapranno, anche Twitter ha avviato le pratiche per la quotazione alla Borsa di New York.


Non sono un esperto di finanza e quindi non entro nel merito della decisione. Invito chi abbia le capacità di leggere un bilancio a sfogliare la documentazione prodotta e resa pubblica come prospetto preliminare all’IPO.


All’interno troverete anche alcuni macrodati su utenti, volumi di traffico, tempi di permanenza. Ma quello su cui vorrei focalizzare l’attenzione sono i modi in cui Twitter si autodefinisce nel presentarsi ai futuri investitori.


“Una piattaforma globale per l’auto-espressione e la conversazione pubblica in tempo reale. Sviluppando una modalità radicalmente nuova per gli utenti di creare, distribuire e scoprire contenuti, abbiamo democratizzato la creazione e distribuzione di contenuti, abilitando ogni voce a risuonare come un’eco da un capo all’altro del mondo istantaneamente e senza filtro”.


Al netto dell’enfasi usata da chi presenta la propria creatura, è difficile contestare ogni singola parola di questa definizione. L’autodescrizione prosegue: “I tweet consentono uno scambio di informazioni ad alta velocità che rende Twitter [uno strumento di racconto] in diretta (”live” nel testo inglese, che significa anche vivo) senza precedenti. Aspiriamo a diventare un indispensabile compagno quotidiano per vivere esperienze umane”.


Proseguendo nella lettura, si capisce anche che fra gli obiettivi strategici di Twitter c’è quello di aumentare e approfondire le partnership con le aziende editoriali per la distribuzione dei loro contenuti. E qui sta il punto cruciale: se Twitter ha le potenzialità sopra descritte – e, al di là di come andrà la collocazione in Borsa, credo proprio che le abbia – e se la diffusione di smartphone e tablet (i cosiddetti device mobili) proseguirà ai ritmi attuali, Twitter ha tutte le caratteristiche per diventare la piattaforma informativa per eccellenza, quella che nel campo delle news (e delle breaking news in particolare) fagociterà tutte le altre, confermando la tendenza di Internet a creare monopoli specializzati (Google, Youtube, Netflix, eBay, Amazon).


In uno scenario simile, ai media conviene attrezzarsi per non perdere il treno di questa nuova “edicola” mondiale. Suggerisco alcune “buone pratiche”, senza la pretesa di originalità o scientificità.


1) Sintonizzarsi sul “battito” di Twitter. Alcuni lo stanno già facendo: nasce una nuova grammatica del giornalismo, con frasi “twittabili” all’interno dei pezzi, con notizie che si aggiornano via via, partendo da un flash per arrivare al racconto articolato, con la verifica delle fonti “a cuore aperto”, magari incrociando e scambiando informazioni proprio con gli utenti di Twitter.


2) Considerare Twitter un alleato e non un concorrente. Pensare di poter fornire servizi analoghi all’interno dei propri sistemi editoriali / operativi per contendere gli utenti al social network è una battaglia persa in partenza. Vietare ai propri giornalisti (ciascuno dei quali ha una rete personale di contatti e follower che si somma – non si sottrae – a quella della testata) di dare le notizie in tempo reale prima che sul sito si rivela alla lunga controproducente. Meglio invece far capire ai dipendenti che il loro profilo twitter fa di nome il proprio nome di battesimo ma di cognome quello della testata per cui si lavora, sempre e comunque.


3) Più in generale, sostituire il concetto di concorrenza con quello di collaborazione a vantaggio dell’utente. Se due testate importanti si retwittano a vicenda non si danneggiano ma sommano le loro audience potenziali e offrono prodotti più completi. Se il controllo incrociato delle fonti è frutto di lavoro collettivo, aiuta ad essere precisi e ri-nobilita il ruolo del giornalista.


4) Evitare l’autopromozione fine a se stessa. In parte è ciò che dicevo al punto precedente: diffondere contenuti della propria testata non aumenta di una virgola la propria credibilità nei confronti dell’utente. Addirittura si dovrebbe arrivare, soprattutto come singoli giornalisti, al punto di non twittare contenuti provenienti dalla propria testata.


5) Immaginare canali informativi che nascono e muoiono su Twitter, senza preoccuparsi del mancato ritorno in termini di pageviews.


Soprattutto, non bisogna dimenticare quel che la società di Jack Dorsey rammenta ai futuri investitori: “Le persone (people) sono il cuore di Twitter”.


(courtesy of International Journalism Festival / Giacomo Cannelli)


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