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Sono le depositarie del nostro patrimonio linguistico, operano per la più antica delle istituzioni, che affonda le proprio radici negli albori della lingua italiana e ne traccia il percorso futuro.

Parliamo delle Social Media Manager dell’Accademia della Crusca, che ci hanno raccontato il loro punto di vista sull’evoluzione dell’italiano nell’era dei social network.


Chi siete, che tipo di formazione avete e come siete approdate all’Accademia della Crusca.


Stefania: Sono assegnista di ricerca. Mi sono laureata in lettere a Catania con una tesi su Leopardi (che mi ha permesso di conseguire un premio presso il Centro di Studi Leopardiani nel 2001), dopo ho cominciato la collaborazione con la Crusca dove svolgo diverse attività: mi sto occupando per esempio della digitalizzazione della V Crusca e di un progetto legato alla semplificazione della scrittura amministrativa in collaborazione con i funzionari del CNR; sono poi impegnata nella gestione dei canali Facebook, You tube e dei contenuti del sito.

Insomma, la mia formazione è classica e la gestione dei social è stata per me una digressione inattesa.


Vera: Mi sono laureata a Firenze e sono dottore di ricerca in linguistica.

Laureata e addottorata in comunicazione mediata dal computer, negli anni ho dedicato studi a qualsiasi cosa avesse a che fare con il social networking. Da sette anni tengo laboratori di italiano all’università di Firenze e un corso di informatica di base.

Sono in Crusca dal 2000, e mi occupo del sito sia dal punto di vista dei contenuti sia per la risoluzione delle magagne lato web oltre alla digitalizzazione della quinta impressione del vocabolario.

Ho sempre fatto parte dei team che si occupano della digitalizzazione e gestisco l’account Twitter da quando lo abbiamo aperto.


L’Accademia della Crusca è una istituzione secolare, depositaria di verità e autorevolezza, almeno in ambito linguistico.

Sentite il peso della responsabilità?
Qual è il rapporto tra il linguaggio del web e questa istituzione?


Stefania: Nonostante l’Accademia sia un’istituzione purista, il suo simbolo, il Frullone, attrezzo moderno utilizzato alla fine del ‘500, è indicativo del fatto che avrebbero lavorato alla lingua seguendo scienze nuove.

Da sempre dunque La Crusca considera la lingua sotto ogni punto di vista, quindi il rapporto con il web non è assolutamente conflittuale considerando che è anche il mezzo che veicola e impone un linguaggio.

I contenuti dell’Accademia sono testati a garantiti, noi sul web abbiamo il compito di renderli accessibili e la responsabilità che abbiamo è molto alta.


Vera: L’Accademia è da sempre molto aperta nei confronti di ogni fenomeno linguistico. Noi cerchiamo di non porci come maestri ingombranti, la Crusca ha sempre operato più dando consigli che fornendo norme.

Alcune volte però il fatto che la norma non sia rigida ma si adatti è vissuto male, in realtà è un segno di vitalità della lingua, il rapporto con il web diviene dunque reciprocamente costruttivo.

Sentiamo la responsabilità, quando ci interpellano chiunque lavora qua sente questa investitura quindi stiamo molto attenti.


Dall’alto della vostra esperienza, come pensate si sia evoluto il linguaggio ai tempi di internet?


Stefania: Adattandosi al mezzo, si tratta di una evoluzione basata sull’adeguamento ad un nuovo mezzo, che presuppone tempi di lettura diversi e dunque una semplificazione.

La semplificazione però non implica superficialità! Si possono confezionare argomenti in modo giusto e adeguati al nuovo canale, perché sui social si può e si deve parlare bene. Noi siamo, in questo senso, le sentinelle della lingua.


Vera: Io sono di parte perché studio questa lingua da 15 anni buoni e ho la mia opinione personale. Per me internet ha aperto diverse possibilità coprendo un ambito che è quello della scrittura informale. I giovani scrivono da sempre, in luoghi insoliti: su diari, quaderni, libri… internet ha aperto spazi virtuali diversi e rappresenta una ricchezza, la possibilità di scrivere in tanti spazi che prima non c’erano.

La percezione di questi ultimi anni che la gente non sappia scrivere bene, è dovuta alla grande quantità di materiale scritto alla portata di tutti. Ma non è Facebook che ci fa scrivere peggio, il fatto è che il mezzo diviene lo specchio delle nostre competenze linguistiche.

Al mio laboratorio dico sempre che bisogna paragonare le competenze linguistiche a tante scarpe, ognuna adatta ad un diverso contesto.


Qual è la vostra giornata tipo da social media manager? E naturalmente, non può mancare una definizione di “Social Media Manager”.


Stefania: Io mi sento il guardiano del faro.

Quando gestisco l’account social cerco di educare alla ricerca di strumenti autorevoli in rete, perché ci sono, e offro notizie di ciò che si fa in Crusca. Diciamo che programmo giornalmente i miei contenuti sulla pagina Facebook, poi è ovvio che essendo sui social gli stimoli sono estemporanei.

Una definizione? Mi sento un nocchiero che aiuta a navigare, vigilo sulla lingua in rete.


Vera: Una definizione? Sono quella che gestisce Twitter in Crusca!

Vivo questi fenomeni come una passione. Dopo aver studiato tanti anni i mezzi, trovarmi a fare comunicazione attraverso questi strumenti è affascinante, ed è anche una sfida, per esempio quando bisogna resistere alla tentazione di mandare a quel paese i troll…

La cosa bella invece è la delocalizzazione, posso portare con me il mio account, ciò ha però un risvolto negativo visto che si è sempre reperibili anche al di fuori dell’orario di lavoro.

Per quanto riguarda il resto controllo costantemente il movimento sul social, è la prima cosa che faccio la mattina; rispondo alle richieste degli utenti e spesso rimando alla Crusca; ho inoltre un elenco di fonti primarie che mi permettono di coprire l’85% delle domande.

Nel caso in cui non riesca a rispondere inoltro alla redazione della consulenza linguistica.


Come rispondete alle critiche? Sempre che ne arrivino…


Stefania: Capita invece.

La Crusca oltre a parlare di sé scatena spesso commenti soprattutto quando si parla quando si parla, a livello linguistico, di fenomeni di tipo sociale.

Un aneddoto? Abbiamo pubblicato una volta un intervista ad uno studioso nella quale si parlava dell’etimologia del termine “matrimonio” che ha scatenato le ire di coloro che ci accusavano di prendere una posizione, e ci chiedevano di non trattare queste tematiche.

In realtà la lingua è semantica, ho dovuto attivare un filtro per le volgarità e una moderazione, di livello medio, perché che si abbiano posizioni diverse su determinati argomenti va bene, ma non tollero le offese personali.


Vera: La cosa più estrema che mi trovo a fare è lasciare che il tweet fastidioso invecchi, su Twitter si fa presto, i tempi sono velocissimi e ci mette poco a sparire.

Non rispondo alle provocazioni e alle domande che richiederebbero uno schieramento dal punto di vista politico o religioso.


La vostra opinione sui social network?


Stefania: In realtà non sono il male e non rovinano la lingua, dipende tutto da chi li usa.

Io non sono contraria, penso solo che sia necessario fare attenzione a come si usano.


Vera: È positiva, sono molto magnetici. Credo che il problema in questo momento sarà trovare un equilibrio tra vita online e offline. Io per prima non riesco a leggere o guardare film quanto vorrei perché magari passo più tempo sui social.


L’ultima domanda, ho un dubbio, che mi affligge da sempre: gli anglismi, come e quanto si traducono e declinano?!


Stefania: per gli anglifoni la via è il buonsenso.

Usare un termine inglese per essere cool non va bene mentre in certi settori, come ad esempio l’informatica e il marketing, è legittimo usarli. L’importante è non abusarne in contesti in cui sono inutili solo per la smania di essere modaioli.

Il settore lessicale della lingua, cioè le parole, sono la parte più mobile, quelle realmente necessarie restano ed entrano a far parte della lingua, le mode se ne vanno.

Ho sempre immaginato la lingua come una casa con porte e finestre aperte nella quale le parole che entrano e servono rimangono, le altre escono.

Non è dagli anglismi dunque che arriva il male.


Vera: Per deformazione cruschica tendo a omettere gli anglismi in un contesto controllato.

Penso che per alcune cose abbiano una espressività che non si può sostituire, l’italiano è una lingua accogliente nei confronti dei forestierismi quindi per una questione di chiarezza in certi ambiti li uso volentieri.

È un buon esercizio mentale oscillare tra le due lingue ma se l’uso dell’anglismo diventa una coperta per coprire delle carenze linguistiche non va bene.


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