lunedì 23 luglio 2012

Digitale, innovativa, competitiva. L'Italia futura secondo Ernesto ... - L'Unità




Lui si presenta così: Prof. Ernesto Somma, quarantasei anni e tre figli maschi. Professore ordinario di economia industriale presso l’Università degli studi di Bari. Negli ultimi quattro anni ha ricoperto l’incarico di direttore generale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, come Coordinatore della Struttura di Missione P.O.R.E. Ha lavorato alla riforma dei servizi pubblici locali, alla riforma del federalismo fiscale e al disegno delle politiche di sviluppo per il Mezzogiorno. Si occupa di economia industriale, teoria dei giochi, economia dell’informazione, politiche di svilippo. Su Twitter è @ernestosomma e qui ci racconta l’Italia che sarà e quella che dovrebbe essere.


L’Italia sembra ancora nel pieno di una tempesta, la crisi, che sta spazzando via molto del suo passato. Ed il cielo non sembra ancora sereno.


Il rischio concreto è che la crisi, insieme al passato, si porti via un pezzo del futuro del nostro Paese. La combinazione di fattori negativi è micidiale e, probabilmente, inedita. Siamo immersi in una crisi finanziaria, ormai nel suo quarto anno, che ha messo drammaticamente in luce tutte le debolezze, le distorsioni ed inadeguatezze del sistema finanziario, politico e sociale di Stati Uniti ed Europa in primo luogo.

Inadeguate e distorte erano la regolazione e la vigilanza dei mercati finanziari che hanno consentito l’accumularsi fuori controllo di quantità enormi di rischio mal prezzato e troppo spesso nascosto nei bilanci opachi di società veicolo.

Inadeguate e distorte, in particolar modo in Europa sono state le risposte della politica che ha consentito che una crisi regionale, quella greca, si trasformasse in una crisi di sistema che investe tutta l’euro zona e che minaccia la stessa sopravvivenza della moneta unica.

In questo quadro i mali strutturali dell’Italia, produttività del lavoro stagnante, alto debito pubblico, bassi tassi di crescita, si aggravano e riducono drasticamente i margini di manovra per politiche di risposta alla crisi.




Il Governo Monti ha messo in campo forti misure di risparmio e taglio della spesa pubblica. Tarda ad arrivare la crescita. Volendo dare un suggerimento?


Il Governo Monti ha il merito di alcune riforme importanti come quella delle pensioni e del mercato del lavoro (l’efficacia di quest’ultima è però ancora da dimostrare), di aver fatto primi importanti seppur parziali passi sul fronte delle liberalizzazioni, di aver proseguito nell’opera di contenimento della spesa pubblica. Tutto ciò, unito all’indubbio prestigio del premier, ha giovato allo standing dell’Italia nel consesso internazionale.

Il consolidamento fiscale e i target imposti dall’Europa, a condizioni date, sono però le principali determinanti della contrazione dell’economia. Le previsioni per l’Italia sono -2% per quest’anno. Temo che continuando lungo questa strada la crescita non la vedremo ancora per molto.

Le riforme strutturali di cui l’Italia ha bisogno sono molte ed abbisognano di uno sforzo continuato e coerente nel tempo. Ma bisogna essere chiari, nessun balzo del Pil che non sia effimero e destabilizzante nel medio periodo può essere conseguito in un paio di semestri con qualche decreto. Nessuna riforma di sistema può produrre effetti tangibili nel breve periodo.

L’apparente paradosso quindi è che Moody’s riduca di ben due gradini il rating del nostro debito nonostante la condizione delle finanze pubbliche sia migliore di quella di 12 mesi fa e siano state adottate riforme – pensioni in primis- che giovano grandemente alla sostenibilità del sistema. Dico apparente perché a ben guardare il giudizio di Moody’s benché riferito al nostro paese contiene implicito un giudizio pesante sull’adeguatezza delle soluzioni poste dall’UE ai problemi di Grecia e Spagna esponendo l’Italia al rischio contagio. La forte contrazione del Pil, a sua volta, assottiglia i margini di sicurezza per far fronte a fluttuazioni dei tassi sul debito.

Detto ciò, il suggerimento che mi sentirei di dare è quello di continuare con sempre maggiore determinazione a contrastare in sede europea un approccio alla crisi che non ha fondamento economico e, invece, ha solo motivazioni politiche pure comprensibili da parte di quei paesi che oggi si ritengono “virtuosi”. Serve una credibile e rapida prospettiva di convergenza verso un’unione bancaria con una efficace supervisione affidata alla Banca centrale europea, accompagnata da un potenziamento del ruolo di quest’ultima ai fini della stabilizzazione dei mercati e del contenimento delle fluttuazioni dei tassi sui debiti sovrani anche per via indiretta attraverso l’ESM.

Il fiscal compact potrebbe essere adeguato a questa nuova prospettiva per assicurare la necessaria unificazione e coordinamento delle politiche fiscali.

I problemi interni dell’Italia non possono trovare soluzione se non si interrompe la spirale negativa tra tensioni in area Euro, aumento dello spread, stretta fiscale, contrazione del Pil.

L’Italia ha fatto buona parte dei suoi compiti a casa ma non è bastato e non potrà mai bastare se le tensioni sull’Euro non vengono ridotte. Per questo serve lo sforzo collettivo della migliore cultura e politica europea.


Italia Digitale, sembra essere questa la sfida dei tempi moderni. Siamo pronti?


Nelle diverse classifiche stilate da organismi internazionali relative all’accesso alla larga banda o all’effettivo utilizzo da parte di cittadini, imprese e pubblica amministrazione della rete e dei servizi su di essa fruibili, l’Italia si attesta su posizioni di retrovia rispetto ad altri paesi europei con livelli di sviluppo economico analoghi. Esiste dunque un grande potenziale di efficienza e di miglioramento dei servizi che è possibile sfruttare e che può dare un contributo sensibile ad innalzare il potenziale di crescita dell’Italia. I vincoli stringenti dei bilanci pubblici tanto delle amministrazioni centrali quanto di quelle regionali e locali deve spingere ad un utilizzo sempre più efficace della leva finanziaria pubblica restringendone l’intervento ai soli conclamati casi di fallimento di mercato e valorizzando il più possibile la compartecipazione privata agli investimenti in infrastrutture. Il procurement pubblico, se ben indirizzato e qualificato, può costituire un volano importante per la diffusione di questi servizi.


Il Sud in questo quadro rischia di essere tagliato fuori dai grandi assi dello sviluppo?


Il Sud sembra aver esaurito anche quei deboli segnali di riscatto che si erano manifestati in significative porzioni del territorio meridionale. Certo la crisi ha colpito in maniera ancora più dura dove il tessuto imprenditoriale ed economico era più debole ma alla base restano irrisolti i nodi che frenano la crescita del mezzogiorno. Pervasività dell’intermediazione politica che produce inefficienze allocative; qualità inadeguata della pubblica amministrazione e dei servizi che essa eroga -sanità, scuola, assistenza in primo luogo; presenza della criminalità organizzata in alcune regioni; specializzazione produttiva tradizionalmente legata al Made in Italy; dimensione e capitalizzazione inadeguate delle imprese; condizioni di accesso al credito fortemente problematiche. Purtroppo questo stesso elenco lo avremmo stilato dieci o venti anni fa.

Il ritardo del Mezzogiorno può essere ulteriormente allargato dalle spontanee dinamiche dello sviluppo che si sviluppano in forme cumulative. L’esperienza degli ultimi 15 o 20 anni di politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno ha definitivamente dimostrato che il problema non è costituito dall’insufficienza delle risorse pubbliche che anzi trovano difficoltà ad essere spese. La vera questione ancora irrisolta resta la qualità scadente della spesa. Su questo aspetto molto resta da fare agendo in primis contro l’utilizzo distorto e clientelare delle risorse pubbliche.


Sviluppo, Impresa, Innovazione, Coesione sociale, con quali di questi temi farà rima il futuro del Paese?


Con tutti, nessuno escluso. È il peso relativo di ciascuno di questi che dovrà cambiare. La coesione sociale è stata sino ad oggi assicurata dalla pratica della concertazione. Quest’ultima ha consentito il raggiungimento di obiettivi importanti di rinnovamento nel mercato del lavoro e nelle relazioni sindacali. La concertazione ha consentito di accompagnare senza traumi eccessivi i profondi cambiamenti della società intervenuti negli ultimi trent’anni. La concertazione ha però fallito nella promozione dell’efficienza e dunque sul piano dello sviluppo. Troppi compromessi sono stati fatti a scapito della concorrenza, della promozione del merito, della produttività e finanche degli interessi di porzioni molto ampie di popolazione che non trova rappresentanza all’interno delle cosiddette parti sociali. Una società dinamica ed aperta, condizione necessaria per la crescita, ha bisogno di coesione. Quest’ultima non può però essere più considerata come sinonimo di una pratica di concertazione che esclude o emargina i giovani in cerca di lavoro, che tutela prerogative sindacali in aperto contrasto con le esigenze della società, come nel caso del pubblico impiego, che continua a tutelare gli insider a scapito delle prospettive occupazionali degli outsider.


Usi spesso twitter, com’è cambiato il tuo “stare in rete” con i social media?


Twitter è per me una delle principali fonti di informazione e di aggiornamento. Utilizzata insieme ad altri strumenti di archiviazione come Instapaper mi consente di costruire in maniera efficiente archivi di notizie ed approfondimenti facendo leva sui commenti e segnalazioni di un numero molto ampio di persone ed istituzioni che stimo importanti.

Per il resto uso poco i media più orientati alla dimensione social come Facebook, più che altro per mancanza di tempo.


Nel tuo lavoro il web 2.0 che peso ha?


La presenza del web 2.0 è pervasiva. Quasi tutte le attività che comportano l’uso della rete, ad eccezione della più tradizionale posta elettronica, coinvolgono, in qualche forma, un rapporto collaborativo con gli altri utenti. Particolarmente importante per me è la raccolta di notizie e l’aggregazione di informazioni che servizi come twitter o applicazioni come Flipboard consentono.


Nel rapporto tra PA ed Imprese, ad esempio, c’è bisogno di investire in modo netto sui temi dell’agenda digitale e della socialcrazia?


In generale la PA ha bisogno di innalzare drasticamente qualità, efficienza ed efficacia della propria azione. L’uso delle tecnologie digitali se incorporato nell’organizzazione del lavoro e assunto quale modalità ordinaria e non meramente esemplare o sperimentale di interlocuzione con la PA e di accesso ai servizi da questa resi può costituire il singolo più importante driver rispetto agli obiettivi che citavo.

Nella realtà siamo ancora lontani da questa condizione ed i costi di questa inefficienza finiscono per gravare pesantemente su quella produttività totale dei fattori che penalizza le condizioni di sviluppo del Paese.








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